Un’economia circolare

E’ come un sogno, l’economia circolare. L’idea è di usare materiale biologico per fabbricare articoli di consumo, poi di riciclarli e di riutilizzarli fin quando possono di nuovo essere biologicamente degradati. Anche il materiale non-biologico potrebbe essere riutilizzato e in seguito riciclato in modo da potere fare parte della biosfera. Quest’ultimo processo è ispirato al mondo biologico in cui tutto è biologicamente degradabile.

Finora il nostro sistema di produzione è lineare. Questo significa che vengono utilizzate materie prime non rinnovabili, quali il petrolio, per la fabbricazione di prodotti che in gran parte finiscono in discariche o in inceneritori. Se ci limitiamo alla plastica vediamo che in questo momento (giugno 2014) soltanto il 12% della plastica viene riciclato, il 38% finisce nelle discariche e il rimanente 50% viene incenerito e utilizzato come fonte di energia (Waste Management World, si veda anche il blog precedente). Attualmente la produzione di materiale usa e getta supera la capacità del riciclo. Inoltre, non solo questo processo è lineare, ma il materiale prodotto, spesso tossico o comunque dannoso, finisce nella biosfera. La plastica prodotta rimane tale per il 50% mentre il resto viene bruciato.

Va sottolineato anche che ciò che viene chiamato riciclo della plastica non è un vero riciclo. Infatti, per la produzione di bottiglie di plastica sembra essere essenziale la cosiddetta ‘virgin plastic’ che viene prodotta dal petrolio. Questa viene ‘riciclata’ al massimo per il 12% per produrre prodotti di altro tipo, quali tavoli e sedie. Questo riciclo parziale viene chiamato ‘downcycling’.

Vengono pubblicati quasi giornalmente degli articoli che trattano di scienziati o aziende che sono per esempio in grado di trasformare direttamente il CO2 dell’atmosfera in plastica o di produrre plastica da scarti quali la buccia dei pomodori. Queste notizie vengono presentate quasi sempre in modo trionfalistico, ma in realtà questi metodi alternativi per produrre plastica non cambierebbero il fatto che la plastica continua ad aumentare indipendentemente dal modo in cui viene prodotta. Fin quando si smaltirà la plastica nelle discariche la soluzione sarà lontana. Inoltre, queste aziende e questi scienziati si sentono ‘verdi’, ma, come detto, non lo sono veramente.

Anche se l’idea di una economia circolare è nata circa 30 anni fa, si è fatto poco per realizzarla. Quando si parla di ‘circular economy’, gli esempi riguardano spesso il riciclo effettivo di scarti alimentari per produrre biogas.  Questa è una cosa buona, ma non risolve il problema della plastica. La volontà di passare a ‘zero waste to landfill’, ossia a ‘zero rifiuti nelle discariche’ esiste senz’altro, ma questa eliminazione delle discariche deve purtroppo diventare anche economicamente vantaggiosa. Non è sufficiente volere acque sotterranee e superficiali pulite e oceani e spiagge pulite, ossia salvaguardare il valore intrinseco della natura, il nostro sistema richiede che questo sia economicamente redditizio. Questo significa che ad ogni cosa viene attaccato un prezzo. Il valore di un ecosistema può ora essere espresso anche in soldi. Il danno della plastica agli oceani viene ora valutato dalle Nazioni Unite in 13 miliardi e si ritiene che questo sia sottostimato. La questione ora è se la stima in denaro non annulli il valore intrinseco che noi diamo per esempio a mari e spiagge puliti. Secondo George Monbiot esiste il rischio che alla fine sono coloro con il potere che decidono in base ai valori economici cosa succederà alle nostre oasi naturali.

Di seguito troverete una presentazione di un’ora e mezzo di George Monbiot, che, dopo essere stato un attivissimo ambientalista, scrive ora libri sull’ambiente in cui descrive la possibilità di ripristinare l’equilibrio naturale in aree particolarmente sfruttate attraverso l’introduzione di animali selvatici. Nella presentazione allegata egli considera il rischio del predominio dell’economia e della politica in un campo che storicamente apparteneva ai partiti ‘verdi’ di sinistra. La presentazione è molto interessante e molto recente (maggio 2014) e quindi mostra le sue attuali idee su questo argomento.

 

I rifiuti di plastica, siamo sulla stessa barca

Sulla rete esiste una grande quantità di informazione sulla plastica, sull’inquinamento da plastica e su questo prodotto come fonte per il riciclaggio. Molte persone hanno già da tanto tempo studiato la plastica e i vari metodi per produrla e riciclarla e diventa quasi impossibile scrivere un testo completo al riguardo. Cercando però ho trovato un articolo dal 20 giugno 2014 nella rivista online di Waste Management World che descrive come in Europa soltanto il 12% della plastica viene riciclata mentre il 38% viene buttato nella discarica poiché non ci sarebbe abbastanza capacità per riciclare tutta la plastica. Il rimanente 50% della plastica viene usato per le centrali energetiche. Queste percentuali sono estremamente preoccupanti. Le discariche sono dei disastri ecologici in quanto producono gas metano e, nonostante che il fondo venga rivestito per separare i rifiuti dal suolo, si verificano facilmente delle perdite che inquinano il suolo, le acque sotterranee e di superficie. Il fatto che la percentuale per il riciclaggio sia così bassa è alquanto scoraggiante per il bravo cittadino che collabora alla raccolta differenziata della plastica.

Il riciclaggio della plastica è in realtà un termine sbagliato in quanto il ciclo non è completo. La plastica usa e getta come le bottiglie di plastica, i sacchetti e gli articoli per il picnic vengono fusi per farne altri prodotti quali sedie e tavoli di plastica. Non ne vengono quindi prodotto di nuovo bottiglie. Il riciclaggio della plastica costa molta più energia del riciclaggio di vetro e metalli poiché la plastica deve essere depolimerizzata ad alte temperature per poterne formare dei pellet che vengono in seguito usati per farne nuovi prodotti. Prima di questa procedura la plastica deve inoltre essere separata secondo il tipo e il colore e dev’essere lavata.

Dovremmo considerare ogni pezzo di plastica che passa per le nostre mani come una fonte per nuovi prodotti di plastica e non dovremmo mai mescolare la plastica con altri rifiuti o abbandonarla per strada.

L’industria della plastica sottolinea che la pellicola di plastica che avvolge le nostre verdure le mantiene fresche più a lungo. Così evitiamo di sprecare i nostri alimenti, buttandoli via quando sono andati a male. Un cetriolo o insalata avvolta da plastica non piace al consumatore, ma PlasticsEurope, un’associazione di producenti di plastica, lo considera un imballaggio ecologicamente responsabile poiché buttiamo via meno cibo dice un rappresentante in un’intervista (youtube). I supermercati possono anche lasciare le verdure sugli scaffali più a lungo.

Stanno lavorando per aumentare la percentuale di plastica riciclata e si vorrebbe eliminare del tutto l’uso delle discariche. Si parla però di raggiungere questo scopo entro il 2020 o 2030 soltanto. Considerando che l’industria di plastica lavora comunque a pieno ritmo per produrre dal petrolio la nostra plastica usa e getta, è probabile che, se ricicliamo come facciamo oggi, vivremo in un mondo di plastica.

Di seguito è possibile vedere un TEDtalk della durata di 10 minuti dal 2011 di Mike Biddle sul riciclaggio della plastica. Se volete sentirlo in Italiano è possibile vederlo qui.

 

La degradazione della plastica

Negli ultimi tempi ci sono spesso notizie sulla plastica e l’inquinamento che questo prodotto causa in particolare negli oceani. Si lavora molto per ripulire le spiagge e vengono cercati metodi come quello di The Ocean Cleanup per raccogliere la plastica dai vortici di plastica che si trovano nei centri degli oceani. Alla conferenza internazionale “Our Ocean 2014” organizzata e ospitata il 16 e 17 giugno scorso da John Kerry a Washington è stato dedicata molta attenzione a questo problema. La plastica ‘macroscopica’ che si trova nei mari causa danni agli animali che ne restano imprigionati oppure la ingeriscono e a causa di questo muoiono di una morte lenta e atroce.

La plastica ‘macroscopica’ inoltre scompone in piccoli pezzi chiamati microplastica per via dell’erosione meccanica o a causa della luce ultravioletta. Queste particelle, possono essere ingeriti dallo zooplancton. Questi animaletti si situano alla base della catena alimentare e vengono mangiati dai pesci che finiscono poi nei nostri piatti.

 

 

Pochi giorni fa uno studio ha dimostrato come diversi micro-organismi si uniscono alla microplastica. rendendola più pesante e facendola affondare. Questo potrebbe essere un motivo per cui si trova meno plastica nei mari di quanta dovrebbe esserci secondo le aspettative. Lo studio dimostra inoltre come alcuni di questi organismi sembrano mangiare la plastica. Si tratta soprattutto di certe diatomee. Da uno studio precedente in Science del 2011 già risultava che alcune specie di batteri sembravano degradare la plastica e si concludeva che si trattasse in questi casi di una cosiddetta ‘plastisphere’ ossia una piccola comunità di batteri e alghe unicellulari che si associa alla plastica e probabilmente la degrada. Questo potrebbe essere un secondo motivo per il quale si trova meno plastica di quanto previsto.

Diatomee (verde) e batteri (lilla) su un pezzo di plastica. Credito Julia Reisser e Jeremy Shaw.

Diatomee (verde) e batteri (lilla) su un pezzo di plastica. Credito Julia Reisser e Jeremy Shaw.

Sempre nel 2014 è apparsa una review su batteri che degradano la plastica. Si dimostra che certi batteri sono effettivamente in grado di degradare il polietilene (la plastica più comune). Le lunghe catene di carbonio che costituiscono il polietilene possono, sotto l’influenza dell’erosione e la luce UV, essere ridotte a catene di lunghezza variabile da 10 a 50 atomi di carbonio. In questa forma ridotta possono essere attaccati dai batteri. Quali enzimi siano esattamente responsabili di questo metabolismo non è ancora chiaro. Ma sembra trattarsi di un vero e proprio metabolismo dove il carbonio del polietilene finirebbe nel ciclo di Krebs. Esperimenti con polietilene radioattivo dovrebbero dimostralo. Speriamo che venga presto attuato questo esperimento per verificare l’esattezza dell’ipotesi.

Intanto The Ocean Cleanup cercherà di diventare operativo per ridurre al più presto la quantità di plastica che galleggia nell’oceano. Per avviare la costruzione del primo prototipo delle Cleanup array è stata iniziata una raccolta fondi.

 
Da: Livescience (Julia Reisser)
NatureNews sull’articolo in Science
International Biodeterioration & Biodegradation: Review (2014)